Per ricordo, dei semi

“La vestaglia di mio marito ce l’ho ancora appesa in bagno. Ogni tanto la tolgo, lo so che non ha senso, la parte razionale di me lo sa. Poi però lo rimetto sempre su, penso che in fin dei conti potrebbe servire, non riesco a toglierla”.

Le 20:20 di un mercoledì sera, poco prima della chiusura. Ho chiamato al volo per sapere se fossero ancora aperti meno di dieci minuti prima e sono andata di corsa per non farla aspettare.

Durante la quarantena appena conclusa avevo scoperto che il negozio di fiori era letteralmente a due isolati da dove vivevo; ci ero passata davanti con la mia mascherina verde nelle passeggiate furtive fino al supermercato più lontano possibile da casa senza nessuna giustificazione per farlo ma solo voglia di vedere la città in silenzio e quelle bellissime case da fuori. Mi era sembrato abbastanza ordinario, per quello che lasciava intravedere la trasparenza della vetrina. Aveva un Instagram invidiabile grazie allo zampino del figlio della proprietaria, Miguel, che trasformava davvero ogni scemenza in qualcosa di visivamente sexy, ma una volta entrata si era dimostrato essere un negozio qualsiasi con un caos incredibile di fiori banali e mensole di vetro impolverate piene di ciarpame da casa di signora anziana tronfia con angioletti di Thun.

Ci ero entrata per comprare dei semi artigianali locali da regalare ad un’amica che scambiava la luce di Madrid per i laghi della Finlandia. Sapevo che li vendevano per via di Miguel che non faceva altro che sponsorizzare nelle stories del negozio i semi di questo progetto spiegando che si potessero comprare là. Più che delusa ero rimasta sorpresa, e per l’ennesima volta avevo ringraziato di avere addosso la mascherina che faceva sì che la mia bocca potesse fare tutte le smorfie che preferiva senza che qualcuno se ne risentisse, io per prima. Pareti giallastre, vasi pieni d’acqua e fiori recisi per terra: gerbere, margherite qualche lilium.

“Possiamo entrare anche noi mentre c’è già lei o non si può? Cerchiamo dei fiori finti per il balcone…per esempio dei gerani?”. Un uomo e una donna sui tardi 60 in ghingheri. Quello che in Spagna si chiama “un matrimonio“. Io sono al bancone chinata su una cesta piena di bustine e mi viene da ridere da morire. Alzo gli occhi e guardo negli occhi A., la proprietaria, che mi sta facendo vedere i semi di cacao, due varietà di zucca, fave e ruta. Mi ha appena raccontato che la ruta si usava per scacciare il malocchio e vorrei ne avesse dieci pacchi di semi e non soltanto uno. Anche lei ride della domanda sui fiori finti, si vede.

“Avanti, avanti. Di fiori finti ne ho pochi, gerani no, quelli lassù ad esempio, ma sono per il cimitero” “Ah per il cimitero…e quella cesta là?” “Quella è di fiori secchi, ma anche quella è una composizione già venduta per il cimitero”

Interviene timido il marito, o l’uomo che l’accompagna “Non viene molta gente a chiedere fiori finti, vero? Ci scusi..” “Ma, non molta a dire il vero, è che io principalmente vendo fiori veri e neanche piante, chiaro ci sono persone che preferiscono fiori finti per non dover innaffiare magari, come la signora” “Certo, la ringraziamo molto comunque”.

Escono. Silenzio.

Lei si accerta con lo sguardo che siano davvero usciti, mi guarda complice e dice “I clienti non finiscono mai di stupirti” e io, senza nessuna capacità di prevedere l’esplosione di emozioni che mi aspetta nei successivi 5 minuti rispondo ingenua “ah, io non ne potevo più dal ridere, ma perché i fiori finti su un balcone? Sarà perché non ci abitano ma vogliono che da fuori sembri ci viva gente?”

“Non lo so, va a capire… Ah ma io non voglio proprio più tenerli i fiori finti, sempre là per il cimitero. Chi ci va due volte all’anno non li mette neanche o li compra all’ingresso del cimitero e non sa neanche cosa ci mette; chi ci va tutti giorni, all’inizio li porta sempre freschi ma poi smette; quelli che ci vanno una volta al mese, eh forse per quelli sì potrei tenerne qualcuno…ma tanto te lo dico io: i morti non lo sanno neanche che ci sono i fiori. Vedi, io al cimitero ci andavo tutti i giorni quando è morto mio marito, tutti i giorni ci andavo, per mesi. Poi a un certo punto ho capito che mio marito non era là, non c’era là nella tomba, là sotto la terra. Non c’era niente niente là sotto, niente, mio marito non c’è. Però ci ho impiegato quasi un anno a capirlo, ti rendi conto?”

Mentre lei racconta penso di aver capito male ma non è così.

“Già..” Sorriso goffo che non si vede, il mio, sotto questa mascherina di merda. Prego con tutta me stessa che gli occhi facciano la loro parte, che sappiano dire che mi sembra struggente e che questo dolore debba ancora essere fortissimo per starlo raccontando a una cliente che non ha mai visto e vorrei tantissimo che lei sapesse che in questo preciso momento penso a Miguel che conosco e cui ho dato un bacio sei mesi fa e che non sa che sono qui ovviamente e che non ho la più pallida idea di cosa voglia dire andare per un anno sulla tomba del proprio marito morto, prematuramente suppongo.

“A casa mi era rimasta fuori una sua felpa blu. Era su una poltrona della sala. La lasciavo lì. Se la metteva per il fine settimana quando tornava da Barcellona, sai, lavoravamo tutti e due in banca e lui viaggiava spesso a Barcellona, anche io eh, ma lui di più. Io poi mi sono licenziata e ho aperto il negozio. Vedi, io guardavo la felpa stando seduta su un’altra poltrona e mi faceva stare bene, sai? Mi faceva pensare che lui fosse a Barcellona e che sarebbe tornato e che avrebbe messo la felpa blu e allora la continuavo a lasciare là sulla sedia. L’ha tolta mia figlia dopo diverse settimane… poi non ci ho più pensato su, mi sono accorta dopo molto tempo che lei l’aveva tolta..”

“Eh, ognuno ha i suoi tempi, è giusto”

Sono sopraffatta dalla tenerezza e dalla malinconia. Vorrei abbracciarla e mi sento una vera stronza ad essere là, io e i miei semi di merda. Mi ero sempre chiesta senza avere il coraggio di dirlo a voce alta perché la famiglia di Miguel nei suoi racconti fosse composta solo da esseri femminili oltre a lui. Gatte, cagne e persone, sì, ma solo donne. Entrata per comprare dei semi per una amica che forse non li userà neppure mai mi sento piovere addosso da una donna che potrebbe essere mia madre (e infatti è la madre di un mio coetaneo) delle parole di un’intimità che mi lascia senza fiato.

“Eh, poi la vestaglia! La vestaglia di mio marito ce l’ho ancora appesa in bagno. Ogni tanto la tolgo, lo so che non ha senso, la parte razionale di me lo sa. Poi però lo rimetto sempre su, penso che in fin dei conti potrebbe servire, non riesco a toglierla. La lavo di quando in quando, faccio per buttarla via e poi la rimetto sempre su, la mia parte razionale non ce la fa. Mi dico guarda che lui non torna, la vestaglia resta ma lui tanto non c’è più, è soltanto una vestaglia ma poi la rimetto.”

Improvvisa immagine totalmente inventata da me del bagno di casa della madre di Miguel con la vestaglia su. Per fortuna che non ci sono mai stata, nonostante un giorno me lo avesse detto. Mi vergogno al solo pensiero di poter aver visto la vestaglia e sapere soltanto ora di chi fosse stata, oppure penso a battute che non ho fatto sulla vestaglia che immagino antiquata chiedendogli se fosse sua. Madonna vergine incoronata grazie.

“….Credo sia difficile separarsi dalle cose..”

“Ah sì, da morire. Quando sono morti i miei genitori mia sorella tutto quello che prendeva lo metteva nelle buste da dare in beneficenza o da buttare. Io invece non ti immagini quante ancora ne ho a casa, poi le ripescavo anche da quelle che metteva via mia sorella..”

Mi sveglio dallo stato di torpore in cui sono perché penso valga la pena sdrammatizzare.

“Eh! Dovreste smettere di accumulare tante cose voi genitori!!! Io non posso neanche pensare a dover mettere le mani in tutte le cose dei miei…mi viene la nausea solo al pensiero da quanto mi metterà tristezza…”

“Eh…mi sa che hai ragione un po’.. eh però è inevitabile..” sorriso a vicenda “Senti comunque spero mi tornerai presto a trovare, no?”

“ah sì sì, siamo quasi vicine poi!”

“Ah bene, allora buon serata e a presto!”

“A presto”

Addosso resta la sensazione di intrusione, di invadenza, di esser involontariamente inopportuna, la consapevolezza del profondo bisogno di fare confidenze e di condividere le tristezze, di quella gestione delle emozioni che nessuno è capace di compiere con serenità. Quell’empatia che mi tiro addosso e mi perseguita ovunque vada.

Soundtrack: Lola Flores, A tu vera

Foto: la casa che vorresti, Canyamelar, Valencia febbraio 2020

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