I tigli, le giostre, la casa.

C’era questa giostra vicino a quella che dopo quasi un anno sarebbe diventata casa mia, casa nostra.

Era una giostrina di quelle semplici, con Paperino, Minnie e le macchinine che girano su una piattaforma circolare.

L’ho vista la prima volta che sono venuta a Modena, il 9 ottobre 2020.

Me lo ricordo con precisione il giorno perché ho questa maledizione che mi ricordo ogni pugnetta che mi capita e quando è successa, da cosa ho fatto gli ultimi 14 capodanni, a dov’era il parrucchiere dove sono andata con mia sorella quando si sono sposati i miei, a come ero vestita il giorno dell’esame di Letterature Comparate con De Santis che parlavamo di Strehler e io non sapevo che avrei mai avuto a che fare con il teatro in vita mia, a come eravamo vestiti quando ho conosciuto J., quand’era esattamente che con N. camminavamo di notte per Madrid e come rispose mia sorella quando una sera dei suoi primi anni di università le misero troppa rucola sulla pizza (“cosa pensa che sono un coniglio?”). Il giorno esatto della giostra me lo ricordo perché ancora lavoravo per la Spagna e il Nou d’octubre è festa a Valencia, e c’è sempre un mega ponte che si somma con il 12 che è festa nazionale e nel 2020 cadevano uno di venerdì e uno di lunedì e c’eravamo spartiti le ferie. Così io ero venuta a Modena ed era tutto molto morbido e dolce, anche se in realtà a lasciarsi andare non si riesce mai e quindi a dirlo quant’era bello ci arrivo un anno e mezzo dopo, mica ci riuscivo allora.

E la giostra di Modena era qua sui viali (che si chiamano in realtà Parco delle Rimembranze, che mi fa tornare in mente quella volta che la mia prof di italiano del liceo, che non mi piaceva per niente, è scoppiata a piangere in classe mentre leggeva Leopardi e mi è piaciuta un filo di più) ed era, la giostra, di quelle banali e semplici, forse nemmeno così vecchia.

Era chiusa quel giorno di ottobre, iniziava l’autunno ed era mattina, ma mi mandò indietro nel tempo subito, la maledetta.

Anche se ce ne devono esser stati tanti, io mi ricordo bene solo di tre posti che avevano quei giochi lì dove sono cresciuta io, nell’umidità della costa adriatica. Uno era un ristorante sulla panoramica prima di Fiorenzuola, dove per la prima volta a circa sei anni una bambina mi disse che tra Buffalo Bill e Calamity Jane lei preferiva fare Buffalo e io dissi figo, ok, così posso fare la femmina anche se mia madre mi continua a tagliare i capelli semi rasati “per la crescita”.

L’altra era alla Palla di Pomodoro, che è questa bellissima opera di Arnaldo Pomodoro che si chiama Sfera grande ed è in bronzo, ma che fino al 2003 o 4 (direi) era credo un calco di cemento stuccato o non so cosa dell’originale e ci si poteva sdraiare sotto ed era piena di scritte. Ora c’è una opportuna fontana che circonda il bronzo dove a volte si lanciano i cani e io feci il bagno l’ultimo giorno di scuola in quarta o quinta superiore.

Lì di fianco, sul lungomare e con la Croazia davanti, c’era un baretto a mia memoria scrauso e con un nome decontestualizzato tipo El Paso. Questo bar ne aveva solo due di questi giochi fissi che si muovevano un po’ e che andavano a gettoni. Ora il posto non so neanche più cosa sia diventato, o forse è stato incorporato in un bar semi fighetto in cui mi sono un po’ innamorata una volta.

E poi c’erano le giostre a baia Flaminia, cioè il Paradiso. Di quel posto ho tantissime foto fatte tutte nello stesso giorno. Non so perché me ne avessero fatte ma son splendide, sono molto piccola e rido molto, vestita con delle camicie rosse a scacchi da boscaiolo orrende ma molto felice a cavallo di questi giochi giganteschi.

Questa giostrina qua di Modena era piccola, ma mi aveva fatto sempre una tenerezza immensa. A novembre 2020 un tipo che guidava un SUV senza assicurazione ne ha perso il controllo e ci si è stampato contro attraversando una linea di parcheggi per auto, una corsia per gli autobus, una siepe e una ciclabile. D’allora non era più stata rimessa a posto, e qualche mese fa avevamo scherzato e detto che bisognava portare a casa un Paperino che era ancora dentro.

L’hanno abbattuta la settimana scorsa.

Era lungo i viali, appunto, che in questi giorni scoppiano di tigli in fiore con quel loro profumo dolcissimo e invadente, che se dormi con le finestre aperte ti fa impazzire da quanto è appiccicoso. Questa zona dei viali è per me la più semplice e piacevole: essendo quella senza bar è un po’ trascurata (ora ha anche il plus della giostra abbattuta) ed è pertanto piena di immigrati, divisi per settori linguistici/etnici, così che i vialetti interni vengono accuratamente evitati dagli italiani che rimangono invece ai margini, lungo la ciclabile. Io mi trovo molto bene nell’area slava. Del resto mi piace la ciniglia.

Poco fa mi son seduta su una panchina sotto un tiglio dopo una giornata lunga. Vicino a me dei ragazzini giocavano a nascondino tra alberi e cespugli e parlavano una lingua slava che non ho saputo distinguere. Un lampione lampeggiava intermittente. Son rimasta lì seduta così tanto a lungo che si è fatto completamente buio, e tornando a casa ho camminato sui resti della giostra con questo profumo ancora addosso. Da brava feticista ho cercato tra i resti delle cose da portare a casa che me la ricordassero nel tempo. Non ho trovato niente, ma son tornata a casa.

Foto mia della giostra, Venerdì 9 ottobre 2020.

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